La nuova fermata “Università” aperta lo scorso 26 marzo si presenta come congestione di forme e colori che con forza saziano il pendolare finché questo si sente saturo di eccesso. Ma in questo caos si vuol vedere una fonte di ispirazione. Almeno questo è stato l’obiettivo del visionario artista anglo-indiano Karim Rashid a cui si deve il progetto: le sue parole sono state “volevo dare alle persone che al mattino vanno a lavoro o all’università cinque minuti di ispirazione”. E da dove può venire l’ispirazione per l’uomo contemporaneo se non dal mondo del digitale, della tecnologia?
Già a partire dagli ingressi di piazza Bovio, il pendolare è proiettato in un mondo digitare, in una quarta dimensione: piccole piastrelle bianche riportano otre 1000 termini coniati solo negli ultimi 50 anni, fra questi parole che ora sembrano comunissime come software o link. Poi, dopo l’ingresso si presentano ingombranti corpi amorfi, dalle sembianze monumentali, eccessive. Procedendo la discesa tramite le scale mobili, si osservano livelli tutti differenti, in cui strutture lineari ma pure sinuose scorrono ovunque, emblema dell’infiltrarsi dell’informazione, che, invadente, passa da uomo a uomo, da un pendolare ad un altro, perché la conoscenza nasce dal colloquio tra più individui, dal dibattito.
La maggiore ispirazione di Rashid non poteva che essere l’Università stessa. Consapevole che chi attraversava la sua opera, si stava preparando a mettere in discussione, nelle aule accademiche, le proprie conoscenze, le proprie potenzialità, il proprio stesso futuro, Rashid non poteva far altro che rendere la stazione un ulteriore oggetto di discussione, oltre che di ispirazione. Perché quando si percorrono quei differenti livelli non si può restare indifferenti. Ogni centimetro spinge alla riflessione, alla ricerca e perché no alla critica intransigente.
Per questo poco importa se già sono numerose le voci sulla mancata praticità della stazione, sul fatto che uno studente, arrivato già alla stazione di Dante con la metro, non può permettersi di attendere per un’altra decina di minuti un ulteriore treno che lo condurrebbe a piazza Bovio e forse neppure importa che appena il 29 marzo, cioè tre giorni dopo l’apertura, la stazione Università risultava chiusa per un guasto (almeno queste erano le voci che si ascoltavano all’ingresso della metro).
Quel che cerchiamo è arte ed ispirazione più che praticità…Viviamo a Napoli, non a New York, non per altro Rashid ha detto “neanche Bloomberg, sindaco di New York, investirebbe mai in un’opera del genere”.
Marta Imparato
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