Il 2020 è stato l’anno dedicato alla riscoperta di una grande artista del 600, una delle poche donne, che emerse nel modo maschile della pittura: Artemisia Gentileschi forse l’unica che seppe affermarsi nel mondo maschilista della pittura. La National Gallery di Londra le ha dedicato una grande mostra che si è aperta, in ritardo per l’emergenza, a ottobre 2020 e durerà fino al gennaio del 2021. Artemisia Gentileschi lavorò due volte anche a Napoli e vi morì nel 1656: in città, e nelle vicinanze ci sono delle sue opere straordinarie da vedere assolutamente
Artemisia Gentileschi fu una delle rarissime pittrici donne del ‘600. Nacque a Roma nel 1593 e morì a Napoli nel 1653 lasciando nella nostra città molti suoi capolavori.
Figlia del pittore Orazio Gentileschi osservò da vicino, grazie al padre, opere che vari e grandi artisti producevano in quel periodo e parliamo di Caravaggio, di Annibale Carraci, di Guido Reni, del Domenichino e di tanti altri che Artemisia conobbe.
Già da ragazza comprese la lezione del realismo caravaggesco e nel 1612 dipinse già “Giuditta che decapita Oloferne” che è di sicuro uno dei suoi capolavori ed è conservato a Napoli al museo di Capodimonte.
La terribile esperienza della giovane Artemisia
Ma ciò che influenzò il realismo di Artemisia fu un terribile fatto che le capitò l’anno prima. All’epoca la Gentileschi fu messa a lavorare nella bottega dal pittore Agostino Tassi e ne subì una violenza brutale nel 1611. Ne seguì un processo pubblico e molto discusso in cui la stessa vittima fu torturata per farle ribadire la verità della sua denuncia.
L’episodio naturalmente minò la vita della donna e il suo capolavoro del 1612 esprime tutta la sua bravura e la sua rabbia repressa, Lasciò Roma per Firenze, dove si sposò e dove conobbe Michalangelo Buonarroti pronipote dell’artista Michelangelo e Galileo Galilei e nel 1616 fu la prima donna nella storia ad essere ammessa nella prestigiosa Accademia del disegno fiorentina.
In giro per l’Europa tra i grandi pittori dell’epoca: ma muore a Napoli
La sua vita continuò a non essere tranquilla e tormentata dai debiti del marito e da varie chiacchiere fu costretta a lasciare Firenze nel 1620 per tornare a Roma, e poi viaggiare tra Genova, dove conobbe Van Dick e Rubens, Venezia e Napoli.
Artemisia come Caravaggio soggiorna a Napoli tra l’agosto del 1630 e il novembre del 1637 influenzando notevolmente l’ambiente pittorico locale. Qui nel 1630 incontra Velázquez ed entrambi lavoreranno per la regina Maria d’Austria.
Poi La Gentileschi andò a Londra e lavorò con il padre divenuto pittore di corte della regina Enrichetta Maria. Li fu sempre ben accolta ricevendo anche incarichi di lavori ma non abbastanza numerosi come quelle dei suoi colleghi maschi
Artemisia tra il 1640 e il ‘41 torna a Napoli, realizzando altri capolavori, dove rimane per il resto della sua vita e dove morirà nel 1653.
Dove vedere a Napoli le straordinarie opere di Artemisia Gentileschi
Nei due soggiorni napoletani Artemisia Gentileschi fu molto apprezzata come pittrice ricevendo molte commissioni, ma mai quante i colleghi uomini. Di seguito vi segnaliamo dove vedere le sue principali opere a Napoli e nelle vicinanze.
Giuditta che decapita Oloferne – Museo di Capodimonte, Napoli, 1612-1613
Un quadro forte, che raffigura Giuditta, assistita dalla schiava Abra, che taglia la testa al generale assiro Oloferne che stava assediando la città di Betula. Artemisia, a differenza di altri autori dell’epoca, rappresenta il momento più cruento, quello della decapitazione.
Annunciazione – Museo di Capodimonte, Napoli, 1630.
Di questo quadro non si conosce la provenienza e fu acquistato dal Real Museo Borbonico nel 1815. E’ la prima opera con figure grandi realizzata da Artemisia Gentileschi a Napoli.
Sansone e Dalila – Palazzo Zevallos, Napoli, 1642
Dipinto probabilmente dopo il ritorno dall’Inghilterra a Napoli nel 1642 dove ebbe molte commissioni e poi Artemisia rimase e mori a Napoli nel 1653.
Adorazione dei Magi – Cattedrale di Pozzuoli al Rione Terra 1636-1637.
Opera già conservata al Museo di San Martino a Napoli, Una straordinaria opera che è parte di un ciclo realizzato per la Cattedrale tra il 1636 e il 1637 Il ciclo fu commissionato dal vescovo di Pozzuoli, lo spagnolo Martín de León y Cárdenas dopo il 1631 anno in cui il Vesuvio eruttò ma risparmiò Pozzuoli, e i quadri commissionati erano una sorta di ringraziamento alle divinità. Qui, Artemisia elaborò la lezione caravaggesca alla luce dei nuovi contatti con gli artisti napoletani.
Santi Procolo e Nicea – Cattedrale di Pozzuoli, 1636-1637
Opera già conservata a Capodimonte e rientrata a Pozzuoli. E’ un’altra opera che fa parte del ciclo realizzato per la Cattedrale tra il 1636 e il 1637 commissionato dal vescovo di Pozzuoli, lo spagnolo Martín de León y Cárdenas
San Gennaro nell’anfiteatro di Pozzuoli – Cattedrale di Pozzuoli, 1636-37
Opera già conservata a Capodimonte e rientrata a Pozzuoli. Ultima delle tre sue opere realizzate tra 1635 e 1637 per la Cattedrale di San Procolo e prima di partire per l’Inghilterra per raggiungere il padre Orazio che lavorava oltremanica. Le altre tele del ciclo (otto in tutto) furono realizzate da Massimo Stanzione, Giovanni Lanfranco, Cesare Fracanzano, Agostino Beltramo, Francesco Fracanzano e Paolo Domenico Finoglio.
Maddalena penitente – Museo Correale di Terranova, Sorrento, 1627-1629
Strana storia per un’opera che era al museo di Capodimonte classificata di “autore sconosciuto” tanto che a marzo 1953 ne fu disposta la restituzione al Museo Correale. Solo nell’anno 2000 a seguito di un restauro, i restauratori nella pulitura trovano un teschio e si definisce il quadro una Maddalena penitente attribuendolo a Artemisia Gentileschi
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